Sono stata dalle 6 di mattina alle 8 e 42 della sera a ripetere diritto penale, con la graziosa freddezza di un giurista.
Il problema e’ il dopo, quando riemergi dalla stanza che rimbomba della tua voce stridula, e’ il dopo. Immersa nei propri odori e apparentemente senza pensieri, mentre il corpo degrada e decade ai primi caldi, come la cera quando il fuoco.
Nel silenzio che sembra olografico, dopo le notti vuote d’affetti e coi ricordi belli troppo lontani per riafforare da soli. O solo stanchi, perché ieri si e’ lavorato, oggi pure, domani anche, e quando non si lavora si studia. Che’ lo dicono tutti: se non ti impegni come ti rendi “indipendente?”. Bisogna lanciare il cuore (e possibilmente far seguire l’azione) giusto un passo oltre le proprie paure, e poi andare avanti. Che senno’…
Rumore di tasti, un vecchio pc tornato nuovo. Ma fammi un po’ risentire quella canzone, che non la potevo piu’ ascoltare per “colpa” del fatto che youtube l’ha abilitata solo ai dispositivi mobili. Ma dove sta, ah, a wonderful summer on a solitary beach.
Parte quel clarinetto, perché e’ un clarinetto, no?
Ma che giorno e’, chi sono, come mai mi sono ridotta cosi’, dove stavo, che e’ stato, ho chiuso solo gli occhi un attimo, eppure pare ieri, ma e’ lontano. Perdutissimo. Chissa’ dove.
D’Annunzio, ti ricordi, che lo amavi?
“Passammo l’estate, su una spiaggia solitaria…e già viaggiava l’eco, di un cinema all’aperto.”
I capelli corti e piu’ ordinati, bello l’incanto di una sana, impertinente, aggressiva e ostentata arroganza. Focosa irruenza d’animo, forte e anche voluta inaderenza al mondo, la ricerca di sé, e prima ancora di un osso da spolpare.
E il languore dell’amore perduto in petto, e quanto sono belle le storie mai nate, le storie solo in potenza, restano fossilizzate nella memoria come le piu’ belle trame mai raccontate, un Nobel mai scritto. Quanto, il “sarebbe potuto, ma non e’ stato” amplifica di rancori struggenti …
quelle note. Era caldo e avevo iniziato a scrivere il romanzo, quella sera sarei uscita con lui e avevo passato il pomeriggio a rimuginarci su.
Con quella canzone nelle casse, l’ingenuità nel cuore, la speranza in culo, la vagina in stato di allerta, gambe depilate perché devo essere presentabile. Promesse, parole e baci che ancora mi afferrano il cuore e me lo sbrindellano. e non avevo mai provato queste cose dolci, nemmeno nelle storie quelle vere, nemmeno nelle storie che sono davvero state.
Il clarinetto, e quel periodo brevissimo, forse in potenza il piu’ felice mai stato. Farsi baciare i tatuaggi dell’inguine, bersi promessi, bei racconti, bei canti, sgranare gli occhi di meraviglia pur atteggiandosi a donna vissuta.
Le strade battute dal sole, i libri chiusi che “tanto domani”, le notti lunghe lunghe, infinite e mai troppo durature. 4 puttanate da scrivere, relativamente poco da raccontare e parecchio da vivere. La sabbia gelida, poi calda, l’acqua, il fritto, la crema, il fumo, l’aperitivo, i sorrisi soffocati, utopie, e poi sfacciati, piu’ aperti, liberi, veri.
Un tatuaggio odiato a imprimermi l’intensità di un addio, o forse solo l’emblema di quella che e’ stata solo una grossa idealizzazione, che ha condotto necessariamente alla disillusione, e quindi alla chiusura del cerchio. Questo lavoro, questi libri, queste quattro mura, questi silenzi dove solo la mia voce di cornacchia.
Ma quelle note, in perfetta antitesi: tra un’Estate che c’è stata, sembra esserci davvero stata, e questa che il caldo e la puzza di chiuso mi suggerisce stia arrivando. E dai, che c’è la cresima, e indosserò un tubino a fiori e pallini tra l’ironico e il canzonatorio, lo sbarazzino e il modo di essere, a suo modo, sensuale.
Sensualità…ma che e’? Sono stata femmina? Prima di figlia, giurista, lavoratrice, arrampicatrice sociale?
Addirittura una che scrive e ascolta musica, ma dai. E sabbia contro pelle e baci ruvidi, oh, ma che e’?
La wonderful summer, on a solitary beach. Col groppo in gola che si ferma circa a metà del collo, e non raggiunge le guance. Ma e’ un buon livello, eè il mio livello di pianto. Non piango, e questo e’ il mio massimo.
Frutto d’amor perduto, di giovinezza che va, di maturità di viene, di tutta roba che non sai se ricorderai con tristezza, rabbia, o non ricorderai affatto in futuro.
Come me la ricordo, ora?
boh, mah, rileva? Deve essere oggetto di rappresentazione e volizione, come il dolo? Come agivo, dolo eventuale o colpa cosciente? Diretto, o addirittura intenzionale? Che abbia ragione Frank e la sua legge, e giudizio ex post o ex ante, ah, l’analisi prognostica postuma, e il c.d “viaggio nel tempo”. La dottrina maggioritaria.
So solo che amavo, basta. Come si amano le cose perdute, nella stessa carezzevole e sibilante avvenenza di queste presunte note di clarinetto.
Against the seeea, le grand-Hotel seagull magique.
Merda.