ballatasadica

A sua (di Lei) immagine e somiglianza.

Archivi per il mese di “giugno, 2014”

l’imperfezione

Da ragazzina facevo i gargarismi con la parola “perfezione”.

Poi ho capito che non solo è una gran troiata, ed è anche molto noiosa.

Quanta bellezza è contenuta sotto un’occhiaia o un po’ di barbettta incolta, un vinile graffiato , un caffè troppo allungato, un bacio che non somiglia a quelli da cinemascope e la riga storta d’eyeliner.

Dio la benedica, cazzo.

nodi

Tutto mi ricordo, anche a distanza di anni, e tutto mi lego al dito.

Ce l’hanno insegnato che il rancore non insegna, contamina e intossica solo l’anima. Ma quelli che ce lo dicevano sono solo dei buonisti viscidi e falsi, capaci di impartire la buona omelia, persi poi agli atti…tra le belle donne. 

Che Gesù Cristo perdonava le puttane per farsele gratis, e ti imponeva di porgere l’altra guancia, incurante del fatto che suo Padre fosse un grande vendicatore.

Che secondo voi, quelli che gli hanno crocifisso il figlio (che lui ha fatto nascere per far crocifiggere, così da perdonare agli uomini una sua incazzatura precedente, che sarebbe bastato dire “oh cari. vi porgo l’altra guancia” e tanti saluti) dove sono ora, alle Maldive?

O li ha sbattuti all’Inferno? Opto per la seconda scelta, e, caro Dio, non parlarmi di libero arbitrio. Che quella che hai impartito a quel ragazzo di 30 anni col tumore al cervello è solo una dimostrazione di crudeltà gratuita. Posto che tu esista e, davvero, faresti meglio a non esistere. 

In fondo, agli uomini servi nella misura in cui tu gli sei utile. E se non salvi i Giusti, a cosa servi? Sì, il paradiso. Posto anche esistesse me ne sbatto il cazzo di starti a pregare a oltranza avvolta da luce, preferisco coltivare i vizi, e non le virtu’. hic et nunc, ora, qui.

Grazie Signore, che ci fai soffrire.

E in questa vita, che poi è l’unica, i nodi che ho intrecciato alle dita mi ricordano di ricordare, sempre. Il torto, l’offesa subita. Ma non tanto per soffrire a causa di esse. Ma perché si è rotto un equilibrio, e di conseguenza quell’equilibrio deve essere ripristinato, e se deve essere ripristinato schiacciando le teste finché non grondano sangue, ben venga. Perdonare, rimettere un debito…sol perché qualcuno ti fa pena al cazzo, è un atto da coglioni o da inferiori, che poi è la stessa cosa. E non ci vuole forza a perdonare, perché corrisponde a deporre le armi in battaglia. E quelli che in guerra gettano le armi non ottengono la pace, ma la sottomissione al nemico. E’ arrendersi, non è…VINCERE.

Vincere, vincere, vincere, distinguermi, emergere, svettare, sgomitare, arrampicarmi, frodare, sfruttare…cosa cazzo me ne farei delle pari opportunità se poi dovessi essere costretta a vedere la mia povera testa allo stesso livello di chi odio?

Ed è così che io ricordo tutto.

ricordo quell’inetta della professoressa di lettere, persa nella sua inutile vita romanzata, e il suo dirmi che “non combinerò mai niente nella vita con questa arroganza”, e anche che non sapessi scrivere, perché era uno stile senza binari, retorico e ampolloso, basato sulla ricerca dannunziana della parola e non del significato. Estetico e vuoto. Come tutta me.

Giuro, quanto cazzo godrò a inviarle una copia autografata con dedica del mio romanzo scritto solo per profitto, “soldi, e non grazie ai tuoi insegnamenti, continua a goderti i tuoi 1000 euro scarsi al mese, e fammi sapere se ti serve un prestito o se stai bene così”

E a quella stronza della professoressa di matematica, che mi disse che di Legge non si fa carriera, e che i numeri contano nella vita. Saper contare, poi.

Copia autografata della mia parcella (la parte non in nero, almeno…) e poi: “vero, i numeri contano, ma non li so contare. Contami un po’ questi, visto che ci hai studiato matematica, grazie. Preferisco una calcolatrice di carne, non ho voglia di accendere l’iphone per usare l’applicazione”.

E tutti i miei ex. Passati, presenti, futuri.

Possano morire, tutti. Soffrire, uno per uno, possano essere soli come i cani.

Possano ai miei nemici schizzare le budella dagli occhi, e continuino…

i miei amici…

ad essermi utili.

Le mie dita staranno meglio quando sarà allentata la morsa dei nodi che li avvolge. Questione di tempo, la sacra Vendetta richiede sacrificio, macchinazione, tempo, giri di karma, azione.

Non c’è problema. Se il demonio m’assiste e Dio è occupato a fingere d’ascoltare le preghiere e spargere aministie agli empi, 

è solo questione di tempo.

Ricordati sempre di osare.

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ed è questo, che devo fare.

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notti magiche

Mondiali e maturità sono parole non solo accomunate dalla lettera “m”, ma anche da una certa…nostalgia.

Aridaje co sta nostalgia, si vabbè ma e’ un bell’intervento lo giuro. 

Ogni Mondiale vissuto e’ il ricordo di un mondiale lontano. Ed è del tutto ininfluente se siamo o meno appassionati di calcio, i mondiali sono un fenomeno talmente grande per portata mediatica che finiscono inevitabilmente per coinvolgerti. A volte misuriamo le estati in base ai mondiali, i nostri ricordi in base ai mondiali etc. Notti magicheeeeh inseguendo un goal sotto il cielo di un’estateee italiana…

Insomma, è sempre un periodo un po’ sui generi, spesso ovattato da una certa sembianza di “mito”.

e così funziona anche il periodo della maturità. Che sia stato il momento piu’ orrendo della tua vita o un periodo d’oro continuerà a conservare una certa allure sacra o pseudo tale negli anni a venire. Probabilmente anche per tutta la roba che ci hanno cucito su, da Venditti a venire avanti con quella canzone abusata.

Di quella canzone, tuttavia, un verso merita particolarmente, forse racchiude il succo di tutto. “come i pini di Roma, la vita non li spezza “

E credo che sia proprio questo il fulcro. Quel sentirsi invincibili, drammaticamente accentuato nel post maturità, perdurante per tutto il primo anno universitario (per l’effetto novità) e poi destinato a spompare amaramente.

Ci vedo molto di questo, sì, e il passaggio almeno per quanto mi riguarda è stato molto, molto duro. Ho percepito quel periodo come un allegro inferno, e quelle sensazionacce di tensione sono le stesse che torno ad avvertire ora, centuplicate, prima di ogni esame. E non sono tipa da abbattermi o cosa, ma negli esami a venire tutto perde questo alone di magia, e non certo per assuefazione. Così, col corpo adolescente fatto scivolare attraverso varie notti, e tante sigarette, e le tue compagne a prepararsi con te per quel momento, e le grigliate estive e i pronostici e il beviamo e non ci pensiamo. Innumerevoli stelle di notte, che sì va bè sono le stesse di sempre ma le si guardava con occhi piu’ ingenui, e la lucida follia di credere di poter diventare, potenzialmente, qualsiasi cosa.

E’ però quando inizia a ridursi il cerchio delle possibilità, quando firmi e addio, esci dalla stanza, ti vai a immatricolare all’università e ti incagli nei suoi meccanismi. E’ li’ che, dopo la residuata onnipotenza, capisci che forse c’è qualcosa di peggio rispetto alla versione di latino, che magari non eri poi così geniale considerando la mole molto ridotta delle nozioni, che non puoi piu’ fare il cazzo che ti pare e che l’imbuto delle possibilità si stra stringendo.

Ed e’ brutto , e sempre di piu’, ogni anno che passa.

Ora che sto alla fine del terzo anno universitario e’ un po’ tardi per chiedermi “che voglio fare da grande”, giurisprudenza continua chiaramente a piaciucchiarmi ma non a entusiasmarmi, eppure e’ troppo tardi per tornare indietro (non lo avrei fatto comunque), e conviene stringere i denti e tirare avanti.

Ma con che approccio.

Con l’approccio di un adulto. Ed essere adulti significa fuoriuscire da tante scialbe idee di ragazzina, e chiedersi anche che forse, all’atto pratico e considerata la situazione italiana, magari non è stata questa gran scelta. Ma intanto tiriamo avanti, e qualcosa di buono dovrà pur venir fuori, e ogni esame non e’ emozione positiva, ma solo una pesante incombenza burocratica, da togliersi di mezzo dopo una fase di stress, chiusura in casa, noia, dimenticanza, vuoti di memoria, rotture di coglioni.

E quindi non posso, appunto, non ripensare a quelle estati in cui ero libera, non mi faceva male la schiena, non soffrivo di spotting continuo, scopavo pure, avevo il corpo ben piu’ atletico, i mal di testa non erano martellanti, le occhiaie forse c’erano ma tanto “fa figo” , i libri si leggevano per piacere e forse si cercava di scriverli pure.

Ed e’ questo il punto, e mi ricollego in parte a quanto scritto stamattina, relativamente all’ordine e ai troppi parametri. (la mia facoltà è questo, schemi su schemi su schemi su punti su distinzioni, su categorizzazioni, su elenchi su roba che appunto devi prima sminuzzare e poi sorbirti a memoria)

Che noi abbiamo bisogno del sogno, cazzo, per vivere bene. Abbiamo bisogno di tenere alte le ambizioni, fosse anche in maniera utopistica, abbiamo bisogno di staccare un po’ dal reale e tornare ragazzini, abbiamo bisogno del mare, dei sabati e delle domeniche in famiglia, di innamorarci e di imbrattare una tela con le mani, di addentare una succosa fetta di cocomero prima di guardare una partita, di canticchiare l’inno e di fare qualche stronzata ogni tanto.

Così penso a due mie coetanee che già hanno partorito, agli anelli al dito, alle feste di laurea che svettano nella mia home, alle foto di coppia “seria” e tutto il resto. E tutto mi si sbassa, e mi ricordo che il tempo stringe e di quanto sia immersa, imprigionata, in un presente che non mi piace affatto, perché significa asetticamente essere  “tra” i fasti del passato e l’incertezza futura, aggravata dalla tragica situazione attuale in questa Nazione confusa e malandata. 

E che ho 21 anni e niente in mano.  Forse si stava meglio a copiare alla matura.

E 21 anni sono proprio un’età del cazzo, ora che ci penso.

Notti magicheeee eh.

Le seghe mentali ci piacciono

Proprio così, l’Uomo e’ una creatura troppo indolente perché s’abitui a ciò che non gli piace fare. Chi di voi si e’ mai abituato a studiare, per esempio? Se siete laureati avete alle spalle 6+3+5+5 anni di studio, eppure scommetto che ogni volta in cui ci si accinge a aprire un tomo compare quell’espressione tra l’irritato, l’annoiato e “vabbè, me tocca”.

Quindi le seghe mentali sono come fumare: si sa che fa male, ma e’ confortante e quindi sticazzi.

Preferisco fumarmi una sigaretta dopo l’altra che tuffarmi su un tomo di diritto, ad esempio. Così come preferirei spararmi un gran segone mentale contemplando il nulla invece di fare qualcosa di utile ma palloso (se solo potessi, tra le due, sì, sceglierei il segone).

Le seghe mentali sono pensieri a vuoto. Tutti sanno che sono inutili, ma nessuno sa come farli smettere.

Il pensiero, in  teoria e anche in pratica, e’ progettato per l’azione.

Quindi dovrebbe essere funzionale ad essa, e volto solo ad essa. Insomma, i filosofi sono dei gran segaioli mentali, i teologi non ne parliamo…etc.

Che potrebbe anche starmi bene, se non fosse che le persone troppo razionali mi fanno cagare.

Per il loro essere spente, opache.

Sì, per carità, le vedi con le scrivanie impeccabili, tutto sistemato, tutto in ordine, tutto allineato. Ne conobbi una così, e mi stava mortalmente sul cazzo: i disegni a mano libera li faceva col righello, non conosceva le sfumature, i tratti erano calcati e spigolosi. Da come una persona disegna si capiscono molte cose di lei, infatti io disegno da Dio, il tratto fluido, ma delicato, le sfumature perfettamente modulate e mai un colpo di gomma, perché la mia e’ arte senza sbavature. E così quando scrivo: vero, ho una prosa un po’ autocelebrativa e a volte gira a vuoto, ma non c’è paragone coi raccontini asettici di chi incasella tutta la sua esistenza entro binarietti del cazzo.

Ciò che rende la vita interessante, è la sbavatura. I fogliettini dell’ “imprevisto” del Monopoli. Le persone troppo ordinate (sia in termini di gestione attività/spazi, sia in termini di modus vivendi) non possono che sembrarmi interessanti come la tabella dei componenti chimici dell’analisi delle acque che trovi nelle etichette della Ferrarelle. Infatti chi cazzo se ne incula.

E te le vedi, e soprattutto se sono giovani emanano una tristezza incommensurabile: marciare dritte nei binari della vita, con già tutto pianificato, mai un guizzo di creatività, i cassetti ordinati, l’asetticità nel fare sesso perché ti scompigli, le parole sempre caute, le scarpe sempre allacciate, i capelli mai lasciati sciolti e al vento, il mangiare super lentamente, togliendo anche la cazzo di buccia del pomodoro. Ma va’, deficiente, che se fossi in Africa mangeresti anche la tua merda, e il fumo no e il bere no e macrobiotico e salutista e tanto sport, e se usciamo ci mettiamo sempre la protezione UVA, e qui e lì.

Badate, io non faccio riferimento a quelle persone che così sono costrette ad esserci, a causa dei lavori che svolgono e dei ruoli che rivestono, ma a chi caratterialmente è così. D’accordo: il modo più facile per congiungere A con B è il segmento: A_____B, ma Dio che gran figata le curve, il divergere, il percorso alternativo ,lo schiocco di dita, l’esclamazione, il lampo di genio, l’idea improvvisa, il cambio di piani, un jeans un po’ liso, un po’ di sano disordine, la scrittura cuneiforme, una battuta simpatica, un po’ d’umana smania di un pensiero fine a se stesso, ogni tanto. Il sogno. 

Le persone razionali ad esempio, come amano? Valutano sempre i pro e i contro, come di tutto, del resto. 

Boh, lo reputo un modo di vivere troppo cauto, limitante, asettico, per niente “bello”, perché la Bellezza pura sta solo in ciò che spicca dal solito, saltando all’occhio. La bellezza e’ una simmetrica forma di pazzia.

A me piace l’idea di una vita diversa, una vita che ogni tanto si risolve in pura arte, in puri esercizi di stile, dove si può anche sacrificare la funzionalità per la bellezza, l’utile per la forma, il Piacere per il dovere.

Almeno a venti anni, orsu’.

W la masturbazione mentale, senza abusarne.

via Postumia

Due e ventisei del mattino, metà Febbraio
Ci tengo ad essere preciso sempre nell’orario
Uscito dal lavoro da pochi minuti
Giusto in tempo per raccogliere i sopravvissuti
Che dalla nebbia affiorano come fantasmi
E con le palle in mano affilano le armi
E ci guardiamo in faccia sempre raramente
Perché il risultato è spesso deludente
E certe notti qui si fa un po’ di cagnara
Cantava quello che da Mario non ci lavorava
E certe notti qui io rischio seriamente
Che poi la notte dopo sia nullatenente .
In caffè c’è casino senza una ragione
Un pugno di ragazze e qualche marpione
E tutti a farsi belli perché a quest’ora
Finire a scopare è l’unica chimera …
Ed i trentenni vestono come i ventenni
Ed i ventenni spacciano ai trentenni
E le trentenni scopano coi diciottenni
E i quarantenni sognano le quindicenni
Ed i baristi litigano coi rumeni
Ehi tu! Vieni a vedere che bello che è
Nonno, questo è il paese che hai fatto te!

Poi ci vediamo tutti quanti in via Postumia
Con la testa bassa ed una coca-cola
Che io lavoro giusto per tenermi in vita
Sai cosa me ne frega dell’Europa unita
Del 7 e 40, la differenziata,
Alzate l’IMU tanto io non avrò mai una casa
Neanche trent’anni e come quasi tutti quanti
Il futuro me lo bevo per non pensarci

E i perdenti vestono come i vincenti
Ed i vincenti in fondo sono dei perdenti
E le coppie escono con altre coppie
E gli studenti affittano delle altre doppie
E mia madre canta alla televisione
Ehi tu! Vieni a vedere che bello che è
Nonno, è questo il futuro che sognavi te!

-Z. Circus

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agaist the sea, le grand hotel seagull magique…

Sono stata dalle 6 di mattina alle 8 e 42 della sera a ripetere diritto penale, con la graziosa freddezza di un giurista.

Il problema e’ il dopo, quando riemergi dalla stanza che rimbomba della tua voce stridula, e’ il dopo. Immersa nei propri odori e apparentemente senza pensieri, mentre il corpo degrada e decade ai primi caldi, come la cera quando il fuoco.

Nel silenzio che sembra olografico, dopo le notti vuote d’affetti e coi ricordi belli troppo lontani per riafforare da soli. O solo stanchi, perché ieri si e’ lavorato, oggi pure, domani anche, e quando non si lavora si studia. Che’ lo dicono tutti: se non ti impegni come ti rendi “indipendente?”. Bisogna lanciare il cuore (e possibilmente far seguire l’azione) giusto un passo oltre le proprie paure, e poi andare avanti. Che senno’…

Rumore di tasti, un vecchio pc tornato nuovo. Ma fammi un po’ risentire quella canzone, che non la potevo piu’ ascoltare per “colpa” del fatto che youtube l’ha abilitata solo ai dispositivi mobili. Ma dove sta, ah, a wonderful summer on a solitary beach.

Parte quel clarinetto, perché e’ un clarinetto, no?

Ma che giorno e’, chi sono, come mai mi sono ridotta cosi’, dove stavo, che e’ stato, ho chiuso solo gli occhi un attimo, eppure pare ieri, ma e’ lontano. Perdutissimo. Chissa’ dove.

D’Annunzio, ti ricordi, che lo amavi?

“Passammo l’estate, su una spiaggia solitaria…e già viaggiava l’eco, di un cinema all’aperto.”

I capelli corti e piu’ ordinati, bello l’incanto di una sana, impertinente, aggressiva e ostentata arroganza. Focosa irruenza d’animo, forte e anche voluta inaderenza al mondo, la ricerca di sé, e prima ancora di un osso da spolpare.

E il languore dell’amore perduto in petto, e quanto sono belle le storie mai nate, le storie solo in potenza, restano fossilizzate nella memoria come le piu’ belle trame mai raccontate, un Nobel mai scritto. Quanto, il “sarebbe potuto, ma non e’ stato” amplifica di rancori struggenti …

quelle note. Era caldo e avevo iniziato a scrivere il romanzo, quella sera sarei uscita con lui e avevo passato il pomeriggio a rimuginarci su.

Con quella canzone nelle casse, l’ingenuità nel cuore, la speranza in culo, la vagina in stato di allerta, gambe depilate perché devo essere presentabile. Promesse, parole e baci che ancora mi afferrano il cuore e me lo sbrindellano. e non avevo mai provato queste cose dolci, nemmeno nelle storie quelle vere, nemmeno nelle storie che sono davvero state.

Il clarinetto, e quel periodo brevissimo, forse in potenza il piu’ felice mai stato. Farsi baciare i tatuaggi dell’inguine, bersi promessi, bei racconti, bei canti, sgranare gli occhi di meraviglia pur atteggiandosi a donna vissuta.

Le strade battute dal sole, i libri chiusi che “tanto domani”, le notti lunghe lunghe, infinite e mai troppo durature. 4 puttanate da scrivere, relativamente poco da raccontare e parecchio da vivere. La sabbia gelida, poi calda, l’acqua, il fritto, la crema, il fumo, l’aperitivo, i sorrisi soffocati, utopie, e poi sfacciati, piu’ aperti, liberi, veri.

Un tatuaggio odiato a imprimermi l’intensità di un addio, o forse solo l’emblema di quella che e’ stata solo una grossa idealizzazione, che ha condotto necessariamente alla disillusione, e quindi alla chiusura del cerchio. Questo lavoro, questi libri, queste quattro mura, questi silenzi dove solo la mia voce di cornacchia.

Ma quelle note, in perfetta antitesi: tra un’Estate che c’è stata, sembra esserci davvero stata, e questa che il caldo e la puzza di chiuso mi suggerisce stia arrivando. E dai, che c’è la cresima, e indosserò un tubino a fiori e pallini tra l’ironico e il canzonatorio, lo sbarazzino e il modo di essere, a suo modo, sensuale.

Sensualità…ma che e’? Sono stata femmina? Prima di figlia, giurista, lavoratrice, arrampicatrice sociale?

Addirittura una che scrive e ascolta musica, ma dai. E sabbia contro pelle e baci ruvidi, oh, ma che e’?

La wonderful summer, on a solitary beach. Col groppo in gola che si ferma circa a metà del collo, e non raggiunge le guance. Ma e’ un buon livello, eè il mio livello di pianto. Non piango, e questo e’ il mio massimo.

Frutto d’amor perduto, di giovinezza che va, di maturità di viene, di tutta roba che non sai se ricorderai con tristezza, rabbia, o non ricorderai affatto in futuro.

Come me la ricordo, ora?

boh, mah, rileva? Deve essere oggetto di rappresentazione e volizione, come il dolo? Come agivo, dolo eventuale o colpa cosciente? Diretto, o addirittura intenzionale? Che abbia ragione Frank e la sua legge, e giudizio ex post o ex ante, ah, l’analisi prognostica postuma, e il c.d “viaggio nel tempo”. La dottrina maggioritaria.

So solo che amavo, basta. Come si amano le cose perdute, nella stessa carezzevole e sibilante avvenenza di queste presunte note di clarinetto.

Against the seeea, le grand-Hotel seagull magique.

Merda.

 

random

Gli onesti sono un branco di imbecilli. Fortuna sono pochi.

Il resto sono quelli che lasciano correre, mettono da parte orgoglio e vendetta, si accolano accanto alla mediocrità, e la chiamano semplicità. O umiltà.

 E di umile non hanno proprio un cazzo, sono solo arroganti che non possono permetterselo.

Gli onesti, in fondo, sono finti onesti. Perché quelli veri sono morti in croce con Cristo ,e mai più risorti.

Non credevo che così giovani si potesse nutrire un nichilismo così disfattista, e ammantarsi di un cinismo lucido e consapevole, che si macchia di volontario delirio ma giusto perché altrimenti sarebbe tutto troppo noioso. Mentre la fantasia e’ importante, un orticello immaginario di buoni frutti, che si coltiva nonostante la cappa di smog del mondo.

Essere geniali e’ una piaga, perché intorno sembra sempre tutto troppo poco, e la vita viaggia su binari tre palmi inferiori alle ambizioni.

Non esiste modo per staccarsi di dosso un Ego asfissiante che si comprime in esercizi di pura forma, e forse senza quello sarei un’ostrica senza la madreperla. Mollusco molliccio costretto a morire da lì a poco.

Cristo Dio, devo far soldi. Di piu’, molti di piu’.

E divertirmi a far piangere qualcuno…

E’ incredibile che goda solo laddove riesca ad arrivare in cima, forse e’ una malattia pure quella.

Non posso provare affetto per i miei colleghi, sono possibili futuri concorrenti.

E il mondo e’ piccolo, ti costringe a sgomitare cavando qualche occhio. 

Altrimenti non sali, non ti arrampichi.

Mi piace il gioco della piramide umana, e mi piacciono anche le vendite piramidali.II panorama, mentre motivi gli altri a guadagnare per te, deve essere fantastico.

E qui ognuno, per me, e’ un cliente e un’accozzaglia di cellule destinate a marcire insieme alle mie.

Speriamo almeno di aver forte goduto, prima.

 

 

 

rosico

Una pausa studio da queste norme che ammazzano la fantasia, per delirare un po’.

Ultimamente rosico, e sono tale e quale a Crudelia DeMon.

Si’, mi e’ capitato di rivedere una clip tratta dalla Carica dei 101, dove lei fa il suo ”ingresso” nella casa dei dalmata, sfatta e amareggiata, sprezzante e inacidita.

Si’, cazzo, sono Crudelia, linea a parte purtroppo, che quegli zigomi a punta aguzza li invidio. Rosico anche per quelli, rosico su una delirante rosicona. Favoloso.

Innanzitutto quell’alone puzzolente e malsano della scia della sigaretta, che fa proprio decadenza e sciattume. Poi i capelli mezzi chiari e mezzi no, che te lo dico a fare. Oggi si chiama shatush, ma altra storia.

C’e’ Anita col grembiule e lei in pelliccia, e mi sta bene.

Ma li’ finisce, la pelliccia e’ l’unica cosa che ha in più.

E passa il tempo a inveire sulla casa di Anita, troppo piccola, a spegnere la cicca sopra i pasticcini, a scriccare la sigaretta dentro al te’, a pavoneggiarsi un pochino, a sbeffeggiare la padrona di casa e il suo ”cavaliere senza macchia e senza paura”, per poi minacciare velatamente e tornarsene a casa portandosi con se’ la sua scia di fumo. E va be’, se ne torna a casa con una macchina strafighissima, ma non e’ quello il punto.

Crudelia e’ una donna amareggiata, cazzo. 

Sola, e tendenzialmente rosicona.

Non e’ solo questione di cani e macchie, quella va be’ e’ una fissa, una specie di parafilia. E’ tutto quello che ruota intorno a cani e macchie: da Anita che intanto ha un colorito umano, al marito che intanto e’ simpatico e la fa ridere, ai cani, alla domestica, alla casa. Insomma qualcuno. Insomma tutto.

 

Si’, negli ultimi…boh, mesi, anni? Non sono molto diversa da Crudelia, nella sua tristezza sgangherata, la sua disfatta civetteria, la sua solitaria perversione.

E rosico.

Rosico per quelle che si fanno i selfie al mare mentre hanno già dato gli esami che io chiaramente ancora no, rosico perché odio l’Università, e invece mi tocca ancora sopportare. Rosico perché lavoro per permettermi una cazzo di rinoplastica e invece se tutto va bene devo aspettare ancora un paio d’anni. Rosico per le coppie felici, per i miei successi sfumati, gli amori perduti, i due di picche che mi sono piovuti inesorabili, i tentativi di rivalsa/riscatto/iniziativa che culminano in copiosi buchi nell’acqua. E inoltre per la forma fisica perduta, per le amarezze gratuite che mi hanno scavato rughe a 21 anni.

E poi, a dirla tutta…se Dio esiste e’ un coglione. E se non esiste fa più che bene. E se torna ad esistere e’ un sadico e basta.

Ma in fondo penso a Walt Disney, che ha anche rischiato il fallimento e si e’ salvato sempre in corner, ha dovuto sfornare Dumbo che effettivamente e’ orrendo per sopperire alla perdita dopo Fantasia, che non e’ proprio una merda ma e’ un pappone avanguardista che e’ solo roba per pazzi e geni, mentre ai bambini fottesega.

E quindi ci si può ANCHE dare una scrollatina e attendere i tempi migliori.

Si, ma quando?

La stagione dell’amore viene e va. Si’, Battia’, ma quando arriva?

Va be’, senti, torniamo a studiare che e’ meglio.

E voglio quelle cazzo di pellicce di dalmata di merda, che almeno vi strappino un po’ del maledetto sorriso, a te, marito, Peggie e Pongo del cazzo e cucciolata.

Io, io non sorrido mai, se non di amaro o ghignando o internamente sognando vendette.

Che tanto arrivano, si’, ma quando?

 

Aniiiiita, tesoro.

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